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Dignità, filo conduttore del passato, del quotidiano, del futuro

«La sera c’era il controllo dei pidocchi. Ti facevano spogliare e controllavano i vestiti: per ogni
pidocchio, cinque bastonate. Una sera d’inverno mi trovarono cinque pidocchi. Presi venticinque
bastonate, poi lasciarono i miei vestiti tutta la notte sul tetto pieno di neve e mi fecero dormire nudo.
La mattina tornai alla cava di pietre indossando i vestiti inzuppati di neve e gelati». Come ha fatto a
sopravvivere? «Non lo so neanche io, forse non lo sa nessuno. Morirono in tanti: si moriva prima
con la testa e poi con il corpo. A volte, quando racconti ti dicono: non è possibile che sia successo
tutto questo. Ma è successo, e potrebbe succedere ancora. Ecco perché noi dobbiamo mantenere la
memoria. La conoscenza della storia è la prima condizione per la libertà»

Gianfranco Maris, Per ogni pidocchio cinque bastonate

 

 

Qualche bicchiere di whisky.
E’ così che, dopo la conferenza di Wannsee, nel 1942, alcuni tra i più alti gerarchi nazisti brindarono a ciò che di più orribile sia mai stato concepito dalla mente umana, la soluzione finale. Essa fu opera di uomini spietati, scellerati, brutali e privi di alcun senso etico e morale. Ma pur sempre esseri umani, non mostri ma persone normali che hanno compiuto azioni mostruose come ricorda Hannah Arendt. Uomini che non si arresero all’evidenza delle prove contro di loro durante i processi di Norimberga a cui furono sottoposti. Non mostrarono quasi mai nè rimpianto nè rammarico per gli atti compiuti, rimasero lucidi e fermamente convinti delle loro decisioni. Alcuni, tuttavia, scapparono prima dell’eventuale condanna o scelsero la via più rapida e, per loro, meno umiliante, il suicidio . Questi uomini hanno segnato dolorosamente la storia del Novecento. Hanno tentato di sopprimere qualcosa che era più forte di loro, qualcosa che alla fine li ha portati a soccombere : la dignità delle loro vittime.

Il Novecento è stato il secolo del filo spinato, dei KZ, dei genocidi per ragioni di razza e sangue, dell’annientamento dei nemici politici. Questo secolo è nato dalla degenerazione cieca dell’ Illuminismo e dal prevalere delle sue forme più violente, nazionaliste e razziste. Queste sono le matrici del mostro. Un mostro che non è sorto dal nulla assoluto, ma che è andato formandosi già a partire dall’Ottocento, e da prima ancora. Un mostro con una gestazione quasi inevitabile, maturato poco per volta, che ha diffuso un’ideologia di massa difficilmente debellabile. Un mostro che si è selvaggiamente accanito non contro una religione, ma contro un popolo, una forma mentis diversa, numericamente inferiore. Per quale motivo? Per la razza. Ma non basta. Sarebbe riduttivo e inesatto dire che le vittime furono solo gli ebrei. No, era necessario eliminare anche gli oppositori politici, gli omosessuali, gli zingari e gli handicappati. Ma, nella mente perversa nazista, non era sufficiente eliminare queste persone, prima era necessario umiliarle, privarle di qualsiasi diritto, e non mi riferisco solo ai diritti politici, ma soprattutto a quelli che dovrebbero essere garantiti ad ogni uomo in quanto tale, come quello di condurre un’esistenza dignitosa e libera. Uomini che venivano trattati come i prodotti dell’industria, neanche considerati esseri umani, bensì merci. A loro doveva essere negato non solo il diritto di parlare e obiettare, ma anche il diritto di pensare, di ragionare, di sognare, di disperarsi, di credere o non credere. I nazisti amavano fare uno strano gioco malato con i deportati ai quali, nei primi giorni di prigionia, urlavano ”Mutzen ab, mutzen auf” , cappello giù, cappello su. Questo si ripeteva per ore e ore in alcuni campi, come quello di Mauthausen. Perchè? Pobabilmente alcuni di questi ufficiali non conoscevano nemmeno le teorie di Pavlov sui riflessi condizionati indotti nell’animale per ridurlo all’obbedienza assoluta, tuttavia le applicavano con una sapienza macabra e spregevole. Obbedire e solo obbedire. Prima di morire la preda doveva soffrire , doveva chiudere gli occhi pensando che domani avrebbe potuto non fare più ritorno nella baracca, doveva essere e sentirsi un oggetto inutile, un animale la cui vita dipendeva dalla propria abilità al lavoro, dal sapere rispondere sì ai kapò, dal piegarsi ogni giorno per la razione quotidiana di bastonate. Queste persone , tuttavia, non hanno mai perso la dignità, l’unica cosa che i criminali nazisti non riuscirono mai a portargli via.

Ed è la loro dignità che voglio ricordare oggi. La dignità con cui una persona si alza al mattino pur sapendo che verrà percossa ingiustamente, la dignità che nemmeno un piano di annientamento totale, quale fu la soluzione finale, riuscì a eliminare, la dignità con cui i testimoni della Shoah raccontano la loro vicenda di umiliazione e spersonalizzazione, la dignità che spesso più della fede e della speranza ha mantenuto vive le menti e i cuori dei deportati, la dignità con cui portavano sul braccio la serie cifrata che li identificava in maniera spersonalizzante, la dignità con cui essi ricominciarono a vivere dopo la guerra, la dignità che non ha mai lasciato il posto alla vendetta, ma che ha spianato la strada alla costruzione di un mondo libero, diverso, migliore, la dignità che si cerca sempre uccidere ma che non muore mai. La dignità e la memoria che hanno lasciato segni indelebili, attraversato un periodo storico che ha procurato ferite ancora oggi difficili da rimarginare. La dignità che nessuna ingiustizia potrà mai condannare all’oblio. La dignità di cui siamo figli, nipoti e pronipoti, la dignità di cui dobbiamo essere padri, madri e custodi. La dignità, filo conduttore del passato, del quotidiano, del futuro.

Historia magistra vitae, scrisse qualcuno, ma quando nel 2018 si sente parlare ancora di razza con tanta leggerezza e convinzione, nutro dubbi e preoccupazione.

                                                                         Miruna Brocco – Coordinatrice Associazione Radicale Adelaide Aglietta