Redazione RARA – Il 17 gennaio, poco prima di pranzo, la PM del caso Cappato, in dibattimento per appurare la sua “agevolazione” al suicidio di Fabiano Antoniani, dà l’affondo finale della sua arringa paradossalmente difensiva rispetto al “cittadino Cappato”.
Quando Tiziana Siciliano – la PM – “rinuncia” all’accusa in quanto, rappresentando in aula lo Stato, decide di prendere in carico anche il “cittadino Cappato”, in quanto parte dello Stato; quando ribadisce che lei deve cercare le prove a favore, come dice la legge; inchioda la sua idea di “un’interpretazione restrittiva dell’agevolazione al suicidio” paventando la richiesta degli atti per perseguire anche il portinaio che quel giorno dovesse avergli aperto il porta, e quindi averlo aiutato; contestualizza la relativa novità della fattispecie di agevolazione al suicidio (anni ‘30, epidemia di spagnola); enumera i riferimenti sovranazionali insistenti sulla scocca del nostro diritto, suggerendo che sarebbe proprio il caso di tenere in considerazione che esiste un mondo, oltre i nostri confini, che definiamo globale e che dobbiamo saper recepire; quando fa queste osservazioni, compie un’inversione speciale. Diamo un importante dato di cornice. Siamo in un processo penale, dove è ricercata la colpevolezza soggettiva del singolo. Invece, a termini cambiati, è lo Stato l’individuo sotto accusa, perché punisce persone che aiutano altre persone a cessare le proprie sofferenze, recuperando almeno in questo il dominio della propria vita. Quindi l’accusa al singolo, preso in carico quest’ultimo, diventa un tentativo dello stato di cambiare la propria condotta.
La propria condotta, non il proprio pensiero. Il problema è che Siciliano chiede “assoluzione perché il fatto non sussiste”.
Qual è il problema? Questa arringa “conserva” la legge sull’agevolazione, non la cambia, e anzi, se assolvessero il leader dell’Associazione Coscioni, creando un precedente, la situazione potrebbe degenerare seriamente. Per dirla semplice, cosa impedirebbe a quel punto a un qualunque privato di fare pullman come quelli che vanno a Medjugorie, senza nessun controllo?
A Cappato, nella dichiarazione spontanea conclusiva, è proprio questa restrittività a stare stretta. Qual è il ragionamento?
Se la corte lo assolve (consolidando la restrittività della responsabilità dell’agevolazione al suicidio, sostanzialmente limitandola ai dottori svizzeri, che però operano sotto le leggi svizzere), incentiva una pratica meno sicura di quella che si potrebbe intraprendere se la legge – e non solo la sua interpretazione – cambiasse: cioè di farlo nel proprio paese, con le garanzie dell’ordinamento.
Cosa succede, invece, se la corte lo condanna per aver agevolato il suicidio di Fabo? La PM Siciliano è lì disposta ad avviare procedimenti a catena, perché difficile stabilire in questo caso cosa non sia “agevolazione”. E ciò, come da lei preannunciato, apre il vaso di pandora di “cos’è una vita dignitosa? È essere liberi di autodeterminarsi? Quali limiti ha, se li ha, l’autodeterminazione e perché, senza cadere in un totalitarismo etico?” – insomma, un bel po’ di robetta pesante. Anche perché, rischiamo che la dignità e l’autodeterminazione siano ostensivi, “so cos’è quando lo vedo” e, in tal caso, sarebbe refrattario alla legificazione e lo si potrebbe al limite regolamentare: una bruttissima rogna per gli ordini professionali…
Ma, al netto di tutto questo, possiamo pensare anche al momento di umanità che c’è stato nell’aula della corte d’assise di Milano. Per caso coincidente con uno dei momenti in cui il PM rappresentava lo Stato.