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Eni ed Enel investono in Russia mentre in atto più grande fuga capitali da Eltsin.

l'impanto di Samburskoye, in Siberia (foto La Republica)

I magnati russi non vogliono fare la fine di Khodorkovskij

Marco Perduca (senatore radicale, co-presidente Senato Partito Radicale ) e Giulio Manfredi (Direzione Radicali Italiani):

Nel fine settimana Eni ed Enel hanno chiuso il cerchio aperto esattamente cinque anni fa, quando vinsero la gara per alcuni asset del fallito gigante energetico privato russo Yukos, società un tempo posseduta dal tycoon Mikhail Khodorkovskij, che aveva intenzione di vendere agli americani. Anche per questo, oltre che per le sue ambizioni politiche, Putin lo fece arrestare nel 2003 e da allora Khodorkovskij passa da processo a processo e da carcere a carcere.

Con la benedizione del governo Monti, Eni ed Enel diventano ormai parte integrante del sistema industriale ed economico russo. Per puro stoicismo (visto che parliamo di aziende, in particolare l’ENI, che non hanno avuto alcun problema a fare affari per vent’anni con Gheddafi) ricordiamo che ciò è avvenuto dividendosi le spoglie di un gruppo appartenente ad un imprenditore privato; privato, appunto, sia del suo patrimonio sia della sua libertà.

Vorremmo, inoltre, segnalare questo apparente paradosso: proprio mentre Eni ed Enel investono il loro nome e i soldi dei cittadini italiani nel mercato russo, gli analisti finanziari segnalano che è in atto la più grande fuga di capitali dalla Russia dalla metà degli anni ’90, l’epoca turbolenta di Eltsin: nel primo trimestre di qust’anno sono volati via 35 miliardi di dollari, quasi il doppio rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Le stime valutano l’emorragia finanziaria a fine anno a oltre 80 miliardi di dollari. E questo accade in una Russia in cui Putin tiene saldamente il potere, grazie anche a un’opposizione divisa.

Forse la fuga di capitali privati ha una motivazione molto semplice: gli attuali oligarchi russi non vogliono fare la fine di Khodorkovskij.