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Laos/Diritti Umani. 16° anniversario “Movimento 26 ottobre”, radicali chiedono impegno istituzioni UE

LAOS/DIRITTI UMANI. RADICALI: 16° ANNIVERSARIO “MOVIMENTO 26 OTTOBRE 1999”, NON POSSIAMO DIMENTICARE 

Chiediamo alle istituzioni europee di pretendere reali passi avanti in tema di diritti umani in cambio degli aiuti economici, vitali per il Laos
Dichiarazione dei coordinatori dell’Associazione radicale Adelaide Aglietta, Silvja Manzi – componente del Comitato per i Diritti Umani del Piemonte -, Igor Boni e Marco del Ciello
Esattamente 16 anni fa, il 26 ottobre del 1999, un Movimento studentesco diede vita, a Vientiane (capitale del Laos), a quella che poteva essere la “primavera laotiana”, una manifestazione pacifica per chiedere giustizia sociale, riforme democratiche e il rispetto dei diritti umani. Quel tentativo di dialogo nonviolento fu represso in men che non si dica e i cinque organizzatori vennero arrestati; da allora, nonostante le seppur timide pressioni della comunità internazionale, le informazioni sulla loro sorte sono state rare e contraddittorie.
Due anni più tardi, nello stesso giorno e sempre a Vientiane, una manifestazione del Partito radicale – con Olivier DupuisNikolay KhramovMassimo LensiBruno Mellano e Silvja Manzi -, che chiedeva conto della sorte dei leader di quel Movimento, venne immediatamente interrotta e i cinque militanti radicali arrestati ed espulsi dopo due settimane di carcere e un processo farsa.
Oggi sappiamo che Thongpaseuth Keuakoun, uno dei cinque leader del Movimento, sarebbe ancora in vita, detenuto in condizioni inumane nella famigerata prigione di Samkhé, nei pressi di Vientiane, in isolamento e con le gambe permanentemente bloccate in un giogo di legno. Sembra che dei cinque arrestati solo due siano sopravvissuti, ma si ignora chi sia il secondo, se Sengaloun PhengphanhBouavanh Chanmanivong o Kèochay, mentre pare certo che Khamphouvieng Sisa-At sia deceduto nel 2001 in seguito alle torture subite.
Lo Stato della Repubblica democratica popolare del Laos – uno degli ultimi cinque stati comunisti ancora in piedi – è uno dei più poveri del pianeta e uno di quelli di cui meno si parla. Occorre allora capire di che tipo di regime si tratta.
Secondo tutti i parametri di Freedom House (diritti politici e libertà civili visti nel loro complesso) il Laos è un Paese non libero; nel suo rapporto del 2011, «Il Peggio del peggio: le società più repressive del mondo», è tra i venti Paesi presi in considerazione. Nel Freedom of the Press 2015, il rapporto di Freedom House sulla libertà di stampa, è 84° su 100 (fonte freedomhouse.org).
Sempre sulla libertà di stampa, è al 171° posto su 180 Paesi secondo il 2015 World Press Freedom Index di Reporter senza frontiere (fonte rsf.org), dopo ci sono solo Somalia, Iran, Sudan, Vietnam, Cina, Siria, Turkmenistan, Corea del Nord ed Eritrea.
Per Transparency International nel suo Corruption Perceptions Index 2014 il Laos ottiene un punteggio di 145 su 174 (fonte www.transparency.org).
Sulle libertà religiose sia per il Pew Research Center (nel Latest Trends in Religious Restrictions and Hostilities 2015 – fonte www.pewresearch.org) sia per l’USCIRF (U.S. Commission on International Religious Freedom, Annual Report 2015 – fonte www.uscirf.gov) il Laos si posiziona tra i paesi più preoccupanti.
Idem sulle libertà economiche. Secondo The Heritage Foundation è 150° su 178 (fonte www.heritage.org).
Tutto questo, e molto altro (per esempio la libertà d’espressione limitata dal Codice penale; i media controllati dal regime; le minoranze religiose, soprattutto cristiane protestanti, represse e perseguitate; i numerosi casi di sparizioni forzate), nonostante sia un Paese letteralmente dipendente dagli aiuti internazionali. E proprio la comunità internazionale non dovrebbe continuare ad accettare supinamente le menzogne sul caso dei leader del “Movimento 26 ottobre 1999”, così come sull’arresto, il 2 novembre 2009, di nove persone, donne e uomini, che si apprestavano a manifestare per il rispetto dei diritti fondamentali, così come sulla “sparizione”, il 15 dicembre 2012, sotto gli occhi della polizia, del leader della società civile Sombath Somphone.
Occorre, invece, che i Paesi donatori, per quanto riguarda l’Italia l’Unione europea nel suo insieme, esercitino le dovute pressioni per la liberazione di questi detenuti e il ritorno alla vita civile dei “desaparecidos”. Con le organizzazioni che si occupano di diritti umani, in particolare il Movimento Lao per i Diritti Umani-MLDH, chiediamo all’Unione europea di utilizzare tutti gli strumenti politici ed economici a sua disposizione affinché il Laos si impegni concretamente e realmente a migliorare la situazione dei diritti umani all’interno del Paese.