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CORDOGLIO PER LA SCOMPARSA DI ENRICO BUEMI, DEPUTATO DE LA ROSA NEL PUGNO, FONDAMENTALE LA SUA PROPOSTA DI RIFORMA DELLA 194

L’Associazione radicale Adelaide Aglietta apprende con dispiacere della scomparsa dell’ex senatore Enrico Buemi e ne ricorda il suo garantismo e il suo forte impegno per la riforma della giustizia e la sua vicinanza all’Associazione nei proficui anni del laboratorio politico creatosi intorno al progetto della Rosa nel Pugno, di cui è stato deputato.

Ancora fondamentale e spunto di ripartenza sul tema la sua proposta di legge sulla modifica della Legge 194 in materia di interruzione volontaria di gravidanza elaborata insieme a Silvio Viale e presentata come primo firmatario nel corso della XIV Legislatura.

Di seguito la sintesi delle modifiche proposte da Buemi e Viale tratte dalla pubblicazione “RU486: Una vittoria radicale”

1) Aborto e controllo delle nascite: il diritto a non portare a termine una gravidanza indesiderata.

Il primo articolo della legge 194 sancisce che l’interruzione della gravidanza non può essere un metodo per il controllo delle nascite, e delega a Stato ed enti locali il compito di vigilare e attivarsi affinché ciò non avvenga. La nostra proposta ribadisce il concetto ma specifica che «nessuna donna può essere obbligata a portare avanti una gravidanza» e che lo Stato, le Regioni e gli enti locali hanno il dovere di garantire l’accesso ai contraccettivi, inclusi quelli di emergenza. Viene sancito il diritto della donna di non portare a termine una gravidanza indesiderata, e si chiariscono gli obblighi del settore pubblico nella diffusione dei contraccettivi: unico mezzo efficace di prevenzione degli aborti.

2) Consultori e contraccezione

L’art.2 della legge riguarda i consultori famigliari, rimane sostanzialmente identico nel testo della proposta di riforma. Ai compiti delegati ai consultori viene però aggiunto quello di «collaborare nelle attività di prevenzione primaria delle gravidanze indesiderate», cioè nella diffusione dei contraccettivi. È inoltre «abolito l’obbligo di ricetta medica per i farmaci registrati per la contraccezione di emergenza» come la «pillola del giorno dopo» (Norlevo®, Levonelle®). Questo per porre fine alla “via crucis” delle donne nei pronto soccorso.

3) Interruzione volontaria

La formulazione dell’art. 4 («la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito…»), prevista per identificare la donna che può richiedere l’interruzione volontaria della gravidanza, è cancellata. Si ribadisce il diritto di non portare a termine le gravidanze indesiderate, oggi sostanzialmente garantito (non ovunque e non sempre), ma ipocritamente mascherato nella legge come necessità determinata da «gravi circostanze»: dallo stupro all’abbandono al disagio economico…

4) I compiti delle strutture sanitarie

Viene abolito l’obbligo per il consultorio (o struttura equivalente) di esaminare «in ogni caso» le «possibili soluzioni dei problemi proposti» e di «aiutarla» a rimuovere le cause che la porterebbero all’interruzione della gravidanza. Si stabilisce che la struttura, qualora la donna lo richieda, ha il dovere di esaminare i problemi posti dalla donna e di prospettarle gli aiuti di cui potrà con ragionevole certezza usufruire nel corso della gravidanza e dopo.

La procedura del rilascio del certificato per l’interruzione della gravidanza viene modificata. Salvo il caso dell’urgenza, già previsto e non modificato, l’intervento deve essere effettuato entro quattordici giorni dal rilascio del documento o entro sette giorni dalla sua presentazione alla struttura che eseguirà l’intervento. Si stabilisce inoltre che l’interruzione dovrà essere praticata nelle modalità più indicate per l’epoca gestazionale, tenendo conto dei desideri della donna, e ispirandosi al principio della minor invasività.

5) Aborto dopo il terzo mese

Attualmente l’aborto dopo il novantesimo giorno è possibile in soli due casi: quando la gravidanza e il parto comportano gravi rischi per la vita della donna; quando patologie o malformazioni del nascituro determinino un grave pericolo per la salute psicofisica della donna. Nella proposta di riforma, la prima ipotesi viene lasciata immutata. La seconda sdoppiata in due casi distinti: «grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna» e «anomali e malformazioni che possano compromettere in maniera rilevante la qualità della vita del nascituro». Si vuole eliminare l’ipocrisia per cui l’aborto del feto malformato o malato è consentito in quanto la sua nascita metterebbe a rischio la salute psicofisica della madre. Viene aggiunta una terza ipotesi. Nel caso venga accertato che il proseguimento della gravidanza metterebbe a rischio il benessere sociale della donna e della sua famiglia, e questo rischio non sia superabile con interventi sociali economici di cui la donna possa ragionevolmente usufruire, è consentito l’aborto oltre il terzo mese.

6) Vita autonoma del feto e aborto

Attualmente è previsto il caso che venga accertata la possibilità di «vita autonoma del feto» (gravidanze oltre sesto-settimo mese). In questa eventualità, l’aborto è consentito solo se la gravidanza comporterebbe un grave rischio per la vita della madre. A questa ipotesi ne viene aggiunta una seconda: che siano accertate – da parte di una commissione di tre medici, tra cui un neonatologo – gravi malformazioni o anomalie in grado di compromettere in maniera rilevante la qualità della vita del nascituro.

7) Strutture abilitate

La riforma prevede che l’intervento sia praticabile: a) negli ospedali; b) nei poliambulatori pubblici (ASL); c) presso le strutture territoriali (come i consultori); d) presso le strutture private autorizzate dalla Regione, la quale ha il compito di aggiornare annualmente tariffe e procedure di rimborso.
Entrambe le tecniche abortive, medica e chirurgica, devono essere garantite. Il medico che pratica l’intervento deve essere uno specialista in ostetricia e ginecologia, non necessariamente medico ospedaliero. In ogni momento deve essere garantita la possibilità di interrompere la procedura, e prestata l’assistenza conseguente. Oggi, l’aborto è possibile solo negli ospedali e nei poliambulatori pubblici.

8) Obiezione di coscienza

Alla previsione che «il personale medico e ausiliario non è tenuto a prendere parte agli interventi di interruzione della gravidanza» se solleva obiezione di coscienza, si sostituisce la norma per cui «lo Stato riconosce la possibilità di sollevare obiezione di coscienza sulla base di un convincimento morale interiorizzato, ma garantisce comunque l’esecuzione dell’interruzione di gravidanza». È stato affermato il diritto di interrompere le gravidanze indesiderate: questo diritto deve essere garantito dallo Stato, che ha il dovere di fornire il servizio medico relativo. L’obiezione di coscienza è riconosciuta comunque come diritto. Deve essere comunicata all’atto della assunzione (o della stipula della convenzione, o dell’abilitazione) e resa pubblica dalle aziende sanitarie o ospedaliere. È prevista la revoca immediata della qualifica e l’avvio di un procedimento disciplinare nel caso un medico obiettore prenda parte ad interventi abortivi, al di fuori dei casi di emergenza nei confronti dei quali l’obiezione non esime dal prestare assistenza. Viene inoltre stabilito che nelle divisioni dove si pratica l’interruzione della gravidanza essere garantito il 50% di personale non obiettore, anche mediante procedure di trasferimento e di mobilità. Sono poi assicurate indennità specifiche per il disagio connesso alla pratica degli interventi per l’interruzione volontaria di gravidanza, per arginare la pratica diffusa dell’obiezione «di comodo» dei medici, che oggi preferiscono, occupandosi d’altro, avere maggiori probabilità di carriera e più gratificazioni professionali.

9) Aborto e minori

Oggi, le ragazze minorenni hanno bisogno del consenso dei genitori per abortire. Nel caso di mancato assenso, o «quando vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino» la consultazione dei genitori, il giudice tutelare, a cui il medico rimette la questione, può autorizzare l’intervento. Il medico, nel caso certifichi l’urgenza dell’intervento «a causa di un grave pericolo per la salute della minore di diciotto anni», può rilasciare il certificato d’urgenza senza consultare i genitori o il giudice.
La proposta di riforma intende invece consentire: a) alle ragazze che hanno compiuto quattordici anni di richiedere l’intervento senza l’assenso dei genitori o del tutore. Il medico deve comunque «valutare se le circostanze consentano» di informare i genitori; b) alle ragazze che non hanno compiuto i quattordici anni di abortire seguendo le procedure oggi previste per tutte le minorenni (assenso dei genitori o autorizzazione del giudice tutelare). Inoltre, la possibilità per il medico di rilasciare il certificato d’urgenza in caso di «grave pericolo per la salute» della minore, senza consultare i genitori o il giudice, è estesa espressamente ai gravi rischi per la salute psichica. Questa nuova disciplina si propone di scongiurare le tragiche eventualità di ragazze e ragazzi minorenni che tentano il suicidio o si tolgono la vita non avendo il coraggio di informare i genitori, o quando l’assenso viene loro rifiutato. Sono casi più comuni di quanto si creda: secondo la relazione ministeriale del 2005, oggi l’assenso viene dato dal giudice quasi in un caso su tre. Nella maggioranza dei casi non perché tale assenso sarebbe negato, ma perché la minore non vuole informare i genitori. Il diritto di chi esercita la potestà ad affiancare il minore nelle decisioni più delicate, e di vietare ciò che non si ritiene giusto, non può prevalere a nostro giudizio sulla necessità di tutelare la salute, fisica e mentale, di ragazze e ragazzi appena adolescenti.

10) La tutela dei medici non obiettori

Gli articoli 12 e 13 della proposta stabiliscono che «la partecipazione alle procedure della presente legge non deve determinare alcun pregiudizio per la carriera e la crescita professionale del medico» (alle Regioni spetta la vigilanza attiva) e che l’aggiornamento professionale sull’interruzione della gravidanza deve essere previsto annualmente in forma separata e specifica. Insieme alla previsione di indennità, queste norme vogliono tutelare i medici (oggi molto pochi) che effettuano le interruzioni di gravidanze, e che hanno nei fatti meno possibilità di carriera e un lavoro meno gratificante dei colleghi obiettori. L’obiettivo è eliminare il tacito incentivo all’obiezione che la 194 e la sua applicazione hanno negli anni introdotto.

Conclusione

Nel 1978 la legge 194 fu un compromesso al ribasso. L’esperienza degli ultimi ventotto anni ha dimostrato come questa disciplina dell’aborto sia tutt’altro che esente da storture, difetti, mancanze. Questa proposta di riforma vuole correggere innanzitutto queste storture, e rendere la legge più adatta a tutelare le donne, la loro salute, e i medici che con la loro opera consentono loro di non essere obbligate a portare a termine una gravidanza indesiderata. La 194 prevedeva in astratto tutele della maternità: in concreto ha prodotto un incentivo consistente all’obiezione di coscienza. Questa riforma vuole tutelare in concreto la salute delle donne che scelgono di abortire, prevenire gli aborti tramite la contraccezione, consentire ai medici che attuano la legge le stesse possibilità di carriera e le stesse gratificazioni professionali oggi riservate ai colleghi obiettori.

Il testo della proposta: https://leg14.camera.it/_dati/leg14/lavori/stampati/pdf/14PDL0081150.pdf