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La relazione letta da Silvio Viale durante l’audizione alla Commissione igiene e Sanità del Senato

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Commissione Igiene e sanità
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AUDIZONE DEL 10 NOVEMBRE 2009

INTERVENTO DEL DOTT. SILVIO VIALE
Responsabile SSD Day Hospital – Servizio Unificato di IVG dell’Ospedale S.Anna di Torino

Ringrazio il Presidente e i Senatori per questa audizione. Dall’elenco delle audizioni ho visto che sono l’unico medico con esperienza diretta nella pratica degli aborti in Italia.
Cercherò, quindi, di mettere a disposizione della Commissione frammenti delle mie competenze tecnico-scientifiche e della mia esperienza professionale che ha come un punto di osservazione privilegiato il Day Hospital del più grande ospedale Ostetrico italiano ed europeo.

Sono stato uno degli sperimentatori principali dello studio clinico “IVG con mifepristone (RU486) e misoprostolo” di cui metto a disposizione i protocolli, il materiale informativo, il consenso informato, il dossier dello sperimentatore, le schede cliniche, la scheda domiciliare e il questionario anonimo. Troverete la documentazione sia per la parte in Day Hospital (allegato 1), per il quale sono stati accolti i suggerimenti e le osservazioni degli ispettori inviati dal ministro Sirchia, e sia per quella in Ricovero Ordinario (allegato 2) come modificata per l’Ordinanza del ministro Storace.
In realtà lo studio avrebbe dovuto riguardare  “le IVG, l’aborto interno e l’uovo anembrionato”, ma fu il Comitato Etico della Regione Piemonte che suggerì di limitarlo all’aborto volontario, escludendo l’aborto spontaneo, per evidenti motivi politici di polemica politica.
Al primo progetto, che riguardava anche l’aborto spontaneo, avevano aderito 96 ginecologi,  mentre al secondo, limitato alle IVG, aderirono solo i 50 medici non obbiettori.
Lo studio si svolse tra il settembre 2005 e il luglio 2006, quando fu sospeso a seguito della notizia che la magistratura aveva aperto un’indagine.
L’indagine relativa al Day Hospital è stata archiviata nel gennaio 2009, non essendo state riscontrate violazioni di legge, mentre rimane tuttora aperta la parte riguardante i permessi di uscita di cui gran parte delle donne hanno usufruito durante il ricovero ordinario.

Per prima cosa è necessario dire che, nonostante la fama sia dovuta all’aborto, per le sue caratteristiche anti-progestiniche, anti-androgene e anti-corticosteroidi la RU486 è sempre più impiegata per altre indicazioni in medicina, non solo in ostetricia e in ginecologia, ma anche in oncologia, psichiatria, endocrinologia e altro. E’ chiaro che la registrazione favorirà la ricerca scientifica in Italia su queste indicazioni.
Allego l’elenco degli studi in corso registrati sul sito www.clinicaltrial.gov (allegato 3).

Al momento non conosco il contenuto della scheda tecnica dell’AIFA, per cui faccio riferimento alla scheda tecnica dell’EMEA (allegato 4) che prevede quattro indicazioni.

Per la preparazione all’intervento chirurgico la RU486 potrà sostituire la prostaglandina che viene attualmente utilizzata in Italia, ma non credo che questa indicazione sarà adottata di routine essendo più probabile una sostituzione con una diversa prostaglandina più maneggevole e meno costosa.

Per quanto riguarda la morte endouterina del terzo trimestre, evento che si verifica circa ogni 1000 gravidanze, la RU486 potrà integrare i protocolli in uso, ridurre i tempi del travaglio ed evitare tagli cesarei non necessari.

La Ru486 sarà invece subito adottata nelle morti endouterine e nelle IVG del secondo trimestre, il cosiddetto aborto terapeutico, perché permetterà di ridurre la dose delle prostaglandine e la durata del travaglio abortivo.
Sebbene nel secondo trimestre la letteratura internazionale suggerisca che la tecnica chirurgica dello svuotamento strumentale dell’utero sia preferibile, in Italia si utilizza quasi esclusivamente il metodo medico con l’uso di prostaglandine e farmaci ossitocici.
In Italia, al contrario di quanto accade per l’aborto del primo trimestre, per l’aborto del secondo trimestre si tratta di introdurre l’aborto chirurgico come alternativa all’abitudine di praticare solo quello medico. Presso il nostro ospedale abbiamo introdotto la metodica chirurgica in Day Surgery fino a 16 settimane con risultati positivi.
Per far capire l’importanza della RU486 occorre dire che per l’aborto del secondo trimestre si utilizzano dosi di prostaglandine da 20 a 60 volte superiori a quelle che si usano per indurre il travaglio a termine, per cui sarà particolarmente utile per evitare le gravi complicazioni  a causa della rottura dell’utero,  che si verifica non di rado negli aborti del secondo trimestre in donne con pregresso taglio cesareo, sempre più frequenti.

Per quanto riguarda le IVG del primo trimestre l’esecuzione precoce dell’aborto medico e dell’aborto chirurgico nelle prime settimane riduce i rischi di complicazioni, che aumentano con l’epoca gestazionale, sebbene queste siano relativamente poche in entrambi i casi.
Ad oggi non esiste un monitoraggio soddisfacente delle complicazioni dell’aborto chirurgico, poiché la scheda Istat viene compilata al momento delle dimissioni e non vengono rilevate eventuali complicazioni successive: il tasso di infezioni non è conosciuto, come i frequenti i passaggi in pronto soccorso e un secondo intervento si rende necessario nell’1-4% dei casi.
Contrariamente a quanto molti possono credere con l’aborto medico si assumono meno farmaci e la donna ha un maggiore contatto con la struttura sanitaria che esegue l’intervento, mentre con l’aborto chirurgico non è previsto alcun controllo successivo ma solo l’esecuzione del’intervento.

Dato il poco tempo a disposizione,scusandomi per l’incompletezza, affronterò solo quattro questioni collegate all’aborto medico del primo trimestre, il cui protocollo con la RU486 è però utilizzabile in tutte le epoche della gravidanza: la prostaglandina, l’aspetto sanitario, la tutela della donna e la questione legale.

  1. LA PROSTAGLANDINA

In Italia sono disponibili entrambe le prostaglandine previste dal protocollo dell’EMEA.
Il gemeprost (Cervidil®) è utilizzabile solo per via vaginale, deve essere conservato in frigorifero, costa circa 36 € a dose ed è quella attualmente autorizzata per l’indicazione abortiva. Utilizzando questa prostaglandina non vi è alcuna pratica ulteriore da sbrigare.
Il misoprostolo (Cytotec®, Misodex®) è utilizzabile per via orale, si conserva a temperatura ambiente, costa 0,54 € a dose ed è utilizzabile sbrigando le pratiche previste per l’uso off-label. Il suo basso costo e la sua maneggevolezza ne fanno sempre di più la prostaglandina di elezione, non solo per i protocolli con la RU486, ma anche per l’aborto spontaneo e la preparazione del collo dell’utero per l’intervento chirurgico. In due paesi ove l’aborto è vietato, come l’Egitto e il Brasile, è registrato addirittura per il travaglio a termine di gravidanza. La FIGO (Federazione Internazionale di Ostetricia e Ginecologia) ne ha chiesto l’inserimento nella lista dei farmaci essenziali dell’OMS, dove è già presente nel protocollo con la Ru486 (allegato 5 e 6). In almeno un paese dell’Unione Europea, la Francia, è registrato per l’aborto, mentre in un altro, nel Regno Unito, sta per essere registrato per il travaglio a termine.
L’uso dei farmaci off-label, come sa bene il collega presidente, è molto comune in medicina
e specialmente in ostetricia e ginecologia. Esempi sono l’uso della nifedipina per l’ipertensione in gravidanza e per la minaccia di parto prematuro, nonostante sulla scheda tecnica sia scritto “controindicato in gravidanza” e il methotrexate per l’interruzione farmacologica delle gravidanze extrauterine. L’importante è che si siano robuste evidenze in letteratura o sia già utilizzato in tal senso in un paese della Unione Europeao dello spazio economico europeo. La necessità di segnalarlo all’AIFA, praticamente mai fatto per gli altri usi, non è un grande problema per le IVG poiché si aggiungerebbe un solo modulo ai numerosi che vengono già compilati.

  1. L’ASPETTO SANITARIO

Lascio al Prof Vittori, presidente della SIGO (Società Italiana di Ginecologia ed Ostetricia) e di ritorno dal recente congresso mondiale della FIGO in Sud Africa, e al Dott. Fiala, rappresentante della FIAPAC, il compito di illustrare le esperienze ventennali degli altri paesi europei, extraeuropei e le linee guida delle società scientifiche e dell’OMS. Tra di esse sono importanti la Cina, nella quale da venti anni, ogni anno sono praticati milioni di aborti con la RU486 e gli Stati Uniti che stanno raggiungendo il milione di aborti fatti con la Ru486.
Per quanto riguarda le morti attribuite alla RU486 mi sembra utile segnalare la relazione della FDA del 2008 al Senato nella quale si afferma che “l’inchiesta non ha evidenziato una relazione causale tra la RU486 e le infezioni fatali che hanno provocato sei morti negli USA” (allegato 7).
La stessa affermazione è contenuta nella scheda tecnica del’EMEA (allegato 4).
Occorre comunque segnalare che ad oggi la presunta mortalità osservata negli USA sarebbe di 0,6 per 100.000, comunque inferiore a 1 per 100.000, e che in medicina si considera come “molto raro”,  il valore minimo di probabilità attribuibile, un evento che si verifica ogni 20.000 casi. Oltre questa soglia di evento “molto raro” non sono previste misure preventive trattandosi di eventi sporadici, come la probabilità di morire colpiti da un fulmine.
Un esempio attuale ci viene offerto dai dati di mortalità  per l’H1N1, che in Italia sono di 4 per 100.000 contagi stimati e di circa 1 su 100 casi positivi al tampone, cioè valori rispettivamente di 6 e di oltre 100 volte superiori a quelli presunti per la RU486 e per i quali il governo sta conducendo una campagna di ostentata rassicurazione.

Per quanto riguarda la sintomatologia dell’aborto medico essa è analoga a quella dell’aborto spontaneo per medesima epoca gestazionale, può variare di intensità ma non è tale da destare maggiore preoccupazione.
I sintomi sono determinati dalle prostaglandine e sono assenti dopo la somministrazione della RU486 al primo giorno.
Se l’aborto avviene nell’intervallo tra la Ru486 e la prostaglandina presenta la stessa sintomatologia dell’aborto spontaneo, che si verifica nel 10-15 % delle gravidanze.
Nausea, vomito e diarrea sono effetti collaterali presenti in una piccola percentuale di casi, mentre il dolore e le perdite ematiche accompagnano inevitabilmente ogni tipo di aborto.
Nella mia personale esperienza, nonostante la doppia somministrazione di prostaglandina, un terzo delle donne riferisce un dolore analogo a quello mestruale, un terzo un dolore di poco superiore, ma sopportabile, ed un terzo un dolore più forte che ha richiesto la somministrazione di un antidolorifico. A riguardo è utile far notare che nell’aborto chirurgico è comune la somministrazione di antidolorifici, nonostante l’anestesia.
Sintomi e dolori cessano con l’espulsione del materiale abortivo.
Le perdite ematiche accompagnano l’espulsione, persistono per un periodo variabile da alcuni giorni a due settimane e generalmente non costituiscono un problema particolare, non limitando le attività della donna in modo diverso dalle emorragie mestruali.
Rimando alle diapositive (allegato 8) di una relazione presentata nel 2009 al un convegno della SIC e della SMIC su una casistica di 1778 casi di otto ospedali italiani di sei regioni per i dati più dettagliati.
In ogni caso mi preme sottolineare che non è vero che l’aborto dura tre giorni, o addirittura due settimane, come ho sentito spesso dire, perché altrimenti si dovrebbe dire che il parto duri un mese perché le perdite ematiche possono perdurare così a lungo. Il periodo espulsivo, quando è iniziato, dura da pochi minuti a poche ore e spesso non è nemmeno percepito dalla donna. Nella mia esperienza molte donne hanno scoperto all’ecografia di dimissione che si era verificata l’espulsione, come in occasione delle aminacce di aborto e di aborti spontanei la maggior parte delle donne vengono in pronto soccorso senza sapere se hanno già abortito o meno.
La sicurezza del metodo è dimostrata dal fatto che in tutti paesi in cui è utilizzata non è previsto alcun ricovero tra la prima e la seconda somministrazione dei farmaci e che, anche in Italia, quando per condizioni ostetriche analoghe, come l’aborto interno, si prevede la possibilità di espulsione del prodotto abortivo al di fuori della struttura sanitaria la donna non viene ricoverata.
Per chi volesse approfondire allego il capitolo sull’aborto medico del recente libro “Management of Unintended and Abnormal Pregnancy” del 2009 (allegato 9) e il rapporto pubblico di valutazione del Mifegyne dell’Agence Francaise de Securitè Sanitarie des Produits de Santè del 2007 (allegato 10).

  1. LA TUTELA DELLA DONNA

Con l’aborto medico la donna è più seguita ed ha più contatti con l’equipe che pratica l’aborto. La possibilità di avere a disposizione entrambi i metodi amplia la scelta e permette  a chi lo desidera di tentare di evitare l’aborto chirurgico. Sebbene, anche l’aborto chirurgico possa essere praticato prima dei 49 giorni di amenorrea la precocità dell’aborto medico è indubbiamente un vantaggio psicologico e sanitario. Infatti non si può negare che man mano che la gravidanza proceda il carico emozionale aumenti indipendentemente dalle opinioni e dai sentimenti religiosi di ognuno. In ogni caso nessuna donna sarà obbligata a praticare un aborto medico, come nessuna donna dovrebbe essere obbligata a praticare l’aborto chirurgico come unica possibilità. Tutto ciò vale, ovviamente, sia per l’aborto volontario che per l’aborto spontaneo. Per quest’ultimo da tempo si adottano comportamenti di attesa e trattamenti farmacologici che prefiggono l’espulsione fuori dall’ospedale.
La critica che l’aborto medico comporti ugualmente l’aborto chirurgico nel 5% dei casi, probabilmente di più all’inizio, non tiene conto che il 95% evita l’intervento, che in caso di aborto incompleto è persino di impegno minore. Nell’esperienza italiana citata la percentuale di interventi chirurgici è stata del 5,4%, con variazioni dal 3% al 12%.

  1. L’ASPETTO LEGALE

Il ministro Sacconi ha detto che la 194 presenta l’aborto come un “disvalore”, ma in realtà per quanto riguarda l’IVG del primo trimestre lascia alla donna la decisione di valore da assegnare e per quanto riguarda il secondo trimestre lascia la medico la decisione di carattere terapeutico. In entrambi i casi l’intervento è ottenuto in “via d’urgenza” (art. 8 e 12) o da “praticarsi immediatamente” (art. 7) a garanzia della soddisfazione di un diritto.
La pratica dell’aborto medico rientra pienamente nell’impianto tecnico della legge 194 che definisce la procedura decisionale e individua chi è autorizzato a praticare l’intervento, senza  entrare mai nelle modalità tecniche della metodica da utilizzare.
In particolare individua l’intervento di interruzione della gravidanza – le parola aborto e citata solo nell’ultimo articolo –  come la parte attiva volontaria che deve essere svolta dalla persona autorizzata a farlo, ma non entra mai nel merito del completamento conclusivo, cioè dell’espulsione del materiale abortivo o dell’obbligatorietà di concludere l’aborto in qualche modo o in qualche luogo determinato. Di conseguenza, se l’ASL è il luogo deputato a praticare l’intervento, medico o chirurgico,  non è quello in cui si devono completare le conseguenze del’intervento , ma è sufficiente che siano garantiti gli standard di sicurezza previsti per il tipo di intervento in analogia con gli interventi dello stesso impegno nell’ambito del rapporto tra medico e paziente.
Non  a caso quando negli articolo 8 e 12, dove si parla di ricovero viene precisato “se necessario”, escludendolo affatto come un elemento necessario e obbligatorio dell’intervento stesso, sebbene imponga che all’intervento si debba sempre procedere “in via d’urgenza”.
Vi sono due ordini di prove a sostegno della non obbligatorietà del ricovero.
Il primo ordine di evidenze a sostegno è costituito dalla ventennale esperienza della RU486 in Italia. Iniziata con gli studi clinici presso la Mangiagalli di Milano, che tra il 1988 e il 1993 partecipò a diversi studi multicentrici dell’OMS, è ripresa con le sperimentazione del S.Anna di Torino e la successiva importazione diretta da parte di altri ospedali.
Non risulta che per la Mangiagalli furono sollevate questioni di violazione della legge 194, nonostante la pratica fu addirittura di tipo ambulatoriale. Allo stesso modo non risulta che vi siano state indagini della magistratura in Toscana, Emilia Romagna, Marche, Puglia e Provincia autonoma di Trento. Sono state viceversa archiviate le inchieste relative al Day Hopital del S.Anna di Torino e agli aborti medici con methotrexate praticati presso l’Ospedale Buzzi di Milano. Il methotrexate e il tamoxifene sono, per inciso, altri due farmaci abortivi a disposizione in Italia. Infine è indicativo che nessuna donna sia stata mai indagata per violazione della 194 sia a Torino che a Milano.
Il secondo ordine di ragioni riguarda le pratiche mediche che comportano l’interruzione volontaria di una gravidanza, o un tentativo in tal senso, nelle quali la paziente viene dimessa nonostante i rischi conseguenti all’intervento, che possono essere anche gravi con pericolo di morte.
Un esempio è il trattamento medico delle gravidanze extrauterine mediante methotrexate e successivo follow-up, per il quale non si procede secondo la 194 nonostante si interrompa volontariamente una gravidanza in evoluzione.
Un altro esempio è la riduzione embrionaria di gravidanze multiple nella quale si procede ad interrompere mediante farmaci l’evoluzione di uno o più gemelli, di cui si auspica la non espulsione, e per la quale si applicano le procedure previste dalla 194.
Un altro esempio ancora è quando la procedura abortiva viene interrotta dopo l’applicazione della prostaglandina e la paziente viene dimessa persistendo un rischio aumentato di aborto conseguente all’intervento abortivo.
Inoltre, mi sembra pacifico che, una volta esaurito l’intervento volontario, cioè l’azione di colui che è autorizzato a praticarlo, la situazione clinica e legale sia assolutamente sovrapponibile a quella delle interruzioni spontanee della gravidanza, non potendosi sostenere che la 194 imponga una difformità di trattamento per due donne nella stessa condizione clinica.
Non a caso il primo parere del Consiglio Superiore di Sanità, quello richiesto dal ministro Sirchia, ben si guardava di obbligare al ricovero, ma raccomandava solo medesime garanzie tra il trattamento medico e quello chirurgico.
E’ stato il secondo parere del CSS, quello richiesto dal ministro Storace che include una disposizione  “suicida” per motivi probabilmente di soddisfazione politica, che non potrà mai reggere a qualunque verifica giuridica.
Affermare infatti che la donna debba essere “trattenuta” fino ad aborto avvenuto non ha senso dal punto di vista delle libertà individuali fondamentali, non è previsto dalla 194 e contrasta con altre norme e la Costituzione. La 194 non prevede alcuna forma di trattamento sanitario obbligatorio.
E’ quindi evidente che, se la donna può dimettersi volontariamente contro il parere del medico, senza violare la legge, anche il parere favorevole del medico alla dimissione non violi la legge, e diventa un imperativo etico, prima ancora che deontologico, quello di non scaricare sulla donna responsabilità proprie del medico. Così ho fatto in scienza e coscienza concedendo i permessi durante la sperimentazione in ricovero ordinario in accordo con la donna.
D’altra parte non può sfuggire alla Commissione che la tendenza medica e la strategia del SSN degli ultimi trenta anni siano state e siano tuttora quelle di favorire i trattamenti con il minore impegno di ricovero e che le differenze tra Day Hospital, Day Service, Day Surgery e Ricovero Ordinario, con prestazioni pre e post ricovero, siano sempre più labili potendo trasformarsi in corsa l’uno nell’altro.
Così, in assenza di nuovi interventi legislativi in senso restrittivo, dopo la somministrazione del primo farmaco, la RU486, o del secondo farmaco la donna potrà essere dimessa sulla base delle valutazioni cliniche, caso per caso, dopo un adeguato e prudenziale periodo di osservazione con una diagnosi di “gravidanza in evoluzione”, “aborto completo”, “aborto incompleto” o “aborto interno” . Siamo, prima di tutto, noi medici, cosi attenti alle questioni del difensivismo sanitario, che abbiamo interesse e vogliamo ridurre al minimo i rischi per le donne nell’ambito delle nostre responsabilità professionali e della nostra autonomia decisionale, nel pieno rispetto della 194.

CONCLUSIONE

Nel biennio 2006-2007 il 2,3% degli aborti in Italia entro i 56 giorni (8 settimane) è stato fatto con la Ru486 e la percentuale è molto più alta per le IVG fino a 49 giorni (7 settimane).
Con la RU486 sono stati fatti il 13% degli aborti totali di Torino, il 4,3% di quelli del Piemonte, dal 4% al 5% in Toscana e in Emilia Romagna, il 10% nella provincia di Trento.
Quando possono molte donne scelgono la RU486 e per questo meritano rispetto e comprensione.
Mi si permetta di ricordare che gli operatori della 194 non sono dei tifosi dell’aborto e meritano anche loro il rispetto che si deve a coloro che servono lo Stato e permettono l’applicazione di una sua legge. Essi non sono gratificati e premiati come gli operatori della legge 40 per le cui procedure il legislatore, a differenza della legge 194, non ha ritenuto di doverle confinare nel pubblico.
Non a caso l’obiezione di coscienza è praticamente assente per la legge 40, mentre i continui attacchi che gli operatori della 194 subiscono inducono all’obiezione di coscienza.
Credo che lo Stato dovrebbe tutelare di più coloro che accettano di fare un lavoro in più che la maggioranza, per varie ragioni evita di fare, gratificarli ed aiutarli ad offrire i migliori standard di assistenza alle donne, come accade per tute le attività che sono poco attraenti e sgradevoli.
Come ho cercato di illustrare la Ru486 rientra pienamente nelle procedure previste dalla legge e sarebbe spiacevole constatare che le conclusioni di questa Commissione fossero contro i propri operatori, contro le proprie donne e, persino, contro la propri leggi.

ALLEGATI.

  1. Documentazione dello studio clinico “IVG con mifepristone (RU486) e misoprostolo” in Day Hospital
  2. Documentazione dello studio clinico “IVG con mifepristone (RU486) e misoprostolo” in Ricovero Ordinario
  3. Copia di stampa del sito http://www.clinicaltrial.gov/ct2/results?term=mifepristone
  4. Allegato II della Scheda tecnica dell’EMEA (Agenzia Europea per i Medicinali) sul mifepristone
  5. Proposta della FIGO di aggiungere il misoprostolo nella lista dei farmaci essenziali dell’OMS
  6. Pagina web dell’OMS sull’introduzione del misoprostolo nella lista dei farmaci esenziali
  7. GAO – United States Government Accountability Office. Report su richiesta del congresso sul mifepristone.
  8. Diapositive della relazione al Congresso congiunto della Società Italiana della Contraccezione e della Società Medica Italiana per la Contraccezione tenuto a Modena nel maggio 2009.
  9. Medical abortion in early pregnancy. In Management of Unintended and Abnormal Pegnany. Comprehensive Abortion Care. Wiley-Blacwell 2009
  10. Agence Francaise de Sécurité Sanitarire des Produits de Santé. Rapport Public d’Evaluation Mifegyne 2007