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XIV Congresso: la relazione di segreteria

Cari compagni e compagne,
vorrei partire da una considerazione politica generale e di contesto, per poi riflettere su quanto ci tocca piu da vicino come associazione.
Lo abbiamo già detto nella lettera di convocazione del nostro Congresso: viviamo in un periodo difficile, di grandi cambiamenti, sfide globali; direi che il tratto peculiare del nostro tempo lo si può cogliere nei rapporti tra politica da un lato, cambiamenti economici e sociali dall’altro: mentre questi ultimi ultimi procedono ad un ritmo sempre più accellerato, la politica pare rimanere bloccata e incapace di trovare nuove prospettive.

Lo spettacolo che ci offre la politica italiana è quello di gravi sqilibri e incertezze politiche e istituzionali, sembra rivivere l’incubo dei primi anni Novanta. Un’instabilità politica endemica, la riesplosione dei conflitti sociali. Non siamo martoriati ogni giorno da arresti e avvisi di garanzia, che colpiscono ministri e sconquassano il Palazzo ma restiamo comunque indebitati fino al collo e fiaccati dall’inazione di governo che produce la stagnazione dell’economia. E il ceto politico che guida il Paese, spappolato al suo interno, non è più credibile.
Un’immagine ancora più acuta se confrontata su scala globale, a contatto con realtà come quella cinese che affronta sfide economiche enormi con spirito d’innovazione.
L’immagine che l’Italia offre di sè al mondo, vista da lontano è quella di un satellite smarrito, di un paese immobile, che stenta ad interpretare con diginità il proprio presente e pensare con originalità al proprio futuro.

L’idea di un’Italia minoritaria ed eternamente sotto schiaffo conviene soprattutto all’Europa e ai nostri competitori nel mondo che sono ben contenti di vedersi proporre su un piatto d’argento l’immagine di un paese corrispondente alle macchiette che popolano gli stereotipi.
Purtroppo il sistema dei partiti (grandi, piccoli, nuovi, vecchi) resta avvitato, con il risultato di dequalificare la politica.
Lo spazio politico e comunicativo lo si conquista solo ponendosi “contro” qualcosa, senza rendersi conto che se da un lato si sfogano solo ambizioni personali, dall’altro non si formulano proposte utili per il paese.
Le opposizioni al Governo Berlusconi non riescono a trovare un’unità seppur minima di intenti e programmi, senza rendersi conto che mai come in un questo periodo l’Italia avrebbe bisogno di una vera concorrenza di idee e proposte e non di una retorica fondata sul muro contro muro.

In una democrazia l’esistenza di pareri opposti sulle scelte politiche è non solo un dato di fatto, ma anche una situazione auspicabile. Se un’opposizione non si manifesta da sè, occorre sollecitarla.
Numerosi meccanismi possono tuttavia impedire che la facoltà di critica venga esercitata appieno, uno tra tutti il conformismo.

E’ proprio sul terreno del conformismo che si innesta la ragione d’essere del movimento radicale.
Occorre che noi si rifletta e si discuta già a partire da questa occasione, dal dibattito generale di questo pomeriggio, su quali siano i termini attuali e più che mai urgenti della questione radicale in questo Paese. Personalmente sono convinta che oggi la questione radicale si articoli intorno a due grandi temi, il primo è quello della sempre maggiore concentrazione oligarchica che caratterizza il sistema politico italiano (che si traduce a livello pratico nella sua drammatica e crescente incapacità di produrre risposte di governo tempestive ed efficaci) e della concentrazione oligarchica che avvelena anche il nostro sistema economico (che si traduce a livello pratico in un drammatico processo di impoverimento e di marginalizzazione della nostra economia).
Il secondo tema è quello della adeguatezza del soggetto politico, di cui come Associazione siamo parte costitutiva, a interpretare con forza e coerenza la grande sfida anti oligarchica in politica e in economia che i Salvemini e gli Ernesto Rossi indicavano come principio guida di una politica liberale del nostro Paese.

Questo congresso cade nell’anniversario dei 10 anni della fondazione dell’Associazione radicale Aglietta.
In questi 10 anni siamo stati l’associazione radicale che più di tutte si è occupata di applicare nel concreto la pratica radicale sui diritti civili, grazie all’opera di Silvio Viale siamo riusciti a introdurre in Italia la Ru486, ci siamo costantemente occupati di antiproibizionismo, di carceri, di legalità, di ambiente, di immigrazione, di diritti dei disabili, di diritti umani violati in Tibet e in Cecenia e nel Caucaso.
Abbiamo dato voce a chi voce non ce l’ha.
Ben prima delle uscite planetarie di Wikileaks abbiamo denunciato i legami tra Berlusconi e Putin denunciando i rischi della collaborazione con un oligarca che calpesta i diritti umani e nega la democrazia nel proprio paese.

In questi 10 anni abbiamo realizzato iniziative alla media di una ogni due giorni, abbiamo promosso ogni genere di campagna radicale nazionale, raccolto migliaia di firme su referendum, avviato proposte di legge di iniziativa popolare, elaborato proposte di legge parlamentari, interrogazioni.

Abbiamo elaborato proposte politiche liberali e le abbiamo condivise con le altre forze politiche di un centro sinistra che abbiamo sempre voluto liberale, abbiamo costruito e cercato di mantenere in vita la Rosa nel Pugno, abbiamo voluto e cercato di costruire un rapporto con il Partito Democratico, abbiamo sempre dialogato con tutti su tutto perchè riteniamo che l’inclusione politica su temi e programmi concreti non possa e non debba mai venire superata dalle contrapposizioni ideologiche. Proprio grazie a questo modo di essere stiamo riuscendo a diventare nuovamente protagonisti sulla scena torinese con il progetto di Idee per Torino che, grazie al lavoro di Igor Boni, Gigi Brossa di Libertà Eguale e Valentino Castellani, potrebbe rappresentare la vera novità delle prossime elezioni comunali di primavera.

Siamo diventati riconoscibili e riconosciuti ottenendo stima ed attenzione soprattutto a Torino ma anche nel resto del Piemonte, diventando una presenza fissa sulla scena politica di Novara, Asti, Cuneo e incardinando iniziative anche a Vercelli, Biella e Alessandria.

Non abbiamo sempre ottenuto i risultati sperati a livello elettorale ma non abbiamo mai smesso di credere che prima o poi quella rivoluzione liberale che tanto auspichiamo riuscirà a realizzarsi grazie anche alla nostra capacità di non rassegnarci.

Ed è perchè non ci siamo rassegnati che siamo riusciti negli ultimi mesi, con le nostre proposte di delibera di iniziativa popolare, a far approvare dal Consiglio Comunale di Torino e Novara l’Anagrafe pubblica degli eletti, che siamo riusciti a far approvare a Torino il riconoscimento delle unioni civili, che infine abbiamo ottenuto l’istituzione sempre presso il Comune di Torino del registro dei testamenti biologici, un segnale di civilità importante proveniente da una delle città più importanti d’Italia, così importante da scatenare le reazioni puntute di un Governo che persevera nel proprio rifiuto di affrontare con serenità il tema delicato delle scelte di fine vita.

Ed è perchè non ci rassegniamo e crediamo che la legge e le regole non siano merci da utilizzare e violare a proprio uso e consumo che abbiamo intrapreso le azioni popolari per incompatibilità contro Roberto Cota e Gianluca Buonanno e ci siamo costituiti parte civile nel processo attualmente in corso per le firme false di Michele Giovine che hanno falsato il risultato delle elezioni regionali della scorsa primavera consegnando questa regione ad una forza politica, la Lega, che, con una politica di chiusura, provincialismo e identitarismo profondo costituisce uno dei fenomeni peggiori che la politica italiana abbia prodotto negli ultimi vent’anni.

In questi dieci anni abbiamo sempre avuto l’ambizione di non essere solo un’associazione territoriale e anche se le nostre forze, soprattutto in termini di militanza, ci hanno sempre fatto correre il rischio di procedere sul filo del rasoio abbiamo raccolto con spirito innovatore le sfide di un mondo che cambia.

Ed è proprio perchè siamo chiamati costantemene a dare il nostro contributo alla costruzione di un Paese, che deve necessariamente innovarsi se vuole rimanere al passo con le realtà più dinamiche, che ritengo che i nostri obiettivi nei prossimi mesi dovranno non solo continuare ad essere quelli che abbiamo perseguito in questi dieci anni, in primis i diritti civili, ma dobbiamo ancora una volta intercettare le urgenze del momento e le prospettive di cambiamento rivolgendo una particolare attenzione ai temi del lavoro, del welfare, e di un equilibrio tutto da costruire tra azione politica e azione sindacale.

Sono queste le prossime sfide su cui dobbiamo provare a far sentire la nostra voce cercando di trasmettere la nostra visione liberale dell’economia, quella visione che si oppone ai monopoli e sostiene le liberalizzazioni, che si oppone alla commistione tra politica e mercati, che ritiene che la competizione meritocratica libera da logiche corporative possa essere una delle soluzioni per uscire da un sistema arcaico che blocca la crescita del nostro paese.

Siamo nella città della Fiat, un ‘azienda che tanta parte ha avuto nella storia di questo paese, e che ora è al centro di uno dei cambiamenti strutturali, quello delle relazioni industriali, che la politica dovrebbe proporsi di accompagnare a governare.
L’accordo di Pomigliano, le trattative di Mirafiori e le dinamiche che hanno innescato, con i tavoli tra confindustria e sindacati che stanno cercando un modo per risolvere uno dei nodi più importanti per lo sviluppo di questo paese, sono l’unico spazio di risposta politica attualmente disponibile; e fa riflettere che l’unico scampolo di offerta politca provenga non dalle istituzioni politiche ma dalla concertazione delle parti sociali.

In Italia il tasso di disoccupazione ha raggiunto l’8%, quello giovanile sfiora il 30 %, non si salvano i lavoratori se non si salvano le imprese, non si salvano le imprese se non si cambiano le regole e non si contribuisce a salvare l’Italia. Noi dobbiamo tradurre questa idea, che corre qualche rischio di cadere nella retorica e nella banalità, in azioni articolate, concretezza degli argomenti, capacità di coerenza nell’analisi e proposte concrete, nell’idea che la reponsabilità e la cooperazione sono indispensabili per affrontare la crisi.

Superare il dogma del contratto collettivo nazionale, come fonte esclusiva delle regole di disciplina del diritto del lavoro, aprendo la strada alla ipotesi alternativa del contratto unico per le grandi imprese, sostenuta anche da Pietro Ichino, in presenza di un piano industriale potenzialmente innovativo come quello della Fiat, non è una resa al padrone, come sostengono alcuni sindacati come la Fiom, bensì l’atteggiamento responsabile di chi si rende conto di essere in un mondo che cambia e che le strutture contrattuali nate 50/60 anni fa sono ormai obsolete e aumentano ancora di più il divario tra noi e i paesi che hanno accettato il cambiamento.
L’ipotesi del contratto unico porterebbe ad un sistema simile a quello in uso in Germania, paese nel quale il ccnl ha una funzione di default, cioè di disciplina generale applicabile in assenza di una specifica regolamentazione aziendale e non un totem inamovibile come in Italia.
Un sistema che unito a quello della cogestione con un reale maggiore coinvolgimento dei lavoratori nelle scelte e nelle strategie dell’azienda ha permesso alla Germania di ottenere stabilità sociale e flessibilità nei momenti di crisi.

Siamo alla vigilia della campagna elettorale per il Comune di Torino e, così come ha scritto Mario Pirani dalle colonne di Repubblica e del Sole 24 ore, credo che il futuro candidato sindaco del centro sinistra dovrebbe chiamare a raccolta tutta la società torinese per uscire dal pantano in cui la questione Fiat sembra finita.
Dovrà trascinare in un tavolo di discussione i rappresentanti delle grandi organizzazioni torinesi e delle istituzioni, dalla Regione alla Provincia, all’Università, all’Unione industriale senza schiacciare il sindacato ma facendo sentire il peso dell’intera città nella vicenda di una grande impresa torinese che sta diventando un’impresa globale.
Mirafiori un tempo era un’azienda in crisi di cui non si riusciva ad individuare il futuro. Con un progetto ed un importante investimento non sarebbe più così.
Fallendo il progetto Mirafiori il futuro di Torino cambierebbe inevitabilmente perchè non si tratta di una fabbrica marginale ma del maggiore insediamento industriale, una platea potenziale di oltre 10.000 lavoratori nella Newco di Pomigliano e nella joint venture Fiat-Chrysler di Mirafiori senza contare tutti i lavoratori delle aziende di componentistica del gruppo e dell’indotto.

Per questo vorrei che anche noi riuscissimo a entrare nel dibattito e nelle prospettive aperte, non solo invitando i candidati a inserire nei propri programmi la questione Fiat e la modifica degli assetti aziendali e sindacali, ma anche organizzando a breve un convegno su questo tema, chiamando a raccolta esponenti del mondo sindacale, produttivo, universitario, finanziario.

Ripartire dall’economia quindi per far ripartire questo Paese, una sfida che mi riempie di entusiamo e che ritengo necessaria e che so che comunque affronteremo con quello spirito anticipatore e pragmatico che ha caratterizzato i primi dieci anni dell’Associazione.

Andando a chiudere vorrei ringraziare tutti coloro i quali, militanti, dirigenti, semplici simpatizzanti in questi dieci anni hanno lavorato per far sì che questa Associazione diventasse quello che è.
Far politica, farla da radicali, con metodo liberale, in un Paese come questo non è semplice e non è una passeggiata. Noi non siamo un partito come gli altri, non poniamo la ricerca dell’incarico, della poltrona, dell’ambizione personale come condizione del nostro far politica.
Siamo mossi da passione, da urgenze morali e ideali di civiltà che ai politici “professionisti” possono, nel migliore dei casi far sorridere ma che sono, per noi, le uniche motivazioni che ci muovono e, in alcuni casi, ci impongono di sacrificare affetti e vita personale.
Non siamo degli eroi ma persone che ritengono che il loro contributo in quella che Hannah Arendt ha definito “Vita Activa”, l’esercizio della vita pubblica, sia necessario e indispensabile per costruire il futuro delle prossime generazioni.

Proprio per questo ritengo che tra di noi, all’interno della discussione, non debba mai prevalere il conformismo, che tutte le voci, tutte le opinioni, il dibattito, la dialettica, lo “scontro democratico” debbano non solo essere accettati ma sollecitati perchè è solo con il confronto e il contraddittorio che si esercita la funzione più alta della democrazia e cioè la produzione delle idee.