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Cannabis,Nosiglia: parlare di cannabis significa parlare di famiglia, nessun problema a coinvolgere cittadinanza e oratori

Pronta replica di Silvio Viale sulle anticipazioni di un intervento dell’Arcivescovo Cesare Nosiglia che sarà pubblicato domani sul giornale della Curia.

Silvio Viale, uno dei promotori dei tre pronunciamenti con cui il Consiglio Comunale sin dal 1996 si è sempre pronunciato per la legalizzazione della cannabis e per una politica sulle tossicodipendenze di solidarietà e di riduzione del danno per i consumatori e per la società, in una nota ha così replicato:

In ogni caso il Consiglio Comunale non è una dependance della Curia e non è certo la Curia che detta l’agenda nella Sala Rossa del Risorgimento di Cavour. Sono stupito del semplicismo con cui cui si chiede di chiudere gli occhi sul fenomeno del consumo di cannabis nella società, dimostrando sul tema un riflesso ideologico irrazionale, come se parlare di cannabis non significasse parlare di famiglia. Su questo tema il Consiglio Comunale si è pronunciato nel 1996, nel 2007 e, ora, nel 2012. In particolare i due documenti approvati lunedì scorso furono presentati nell’ottobre del 2012 e sono sono stati discussi più volte in commissione.

Lungi da me attribuire una voglia di censura da parte della Curia, non posso, però, non fare notare come l’Arcivescovo, o chi gli abbia riferito, non deve avere aver letto i documenti, uno dei quali riguarda l’uso terapeutico della cannabis. Si può dissentire, ma se si vuole davvero il “coinvolgimento della cittadinanza e delle sue molteplici articolazioni formali e informali, famiglie, cittadini, gruppi, istituzioni, agenzie educative e sanitarie” , ma anche parrocchie e oratori, io sono completamente d’accordo, mentre se si preferisce continuare nascondere il problema e le sue soluzioni sotto il tappeto io non sono d’accordo.

Mi auguro che la Curia approfondisca il tema perché, come è indicato dai documenti dell’OMS, il peso sociale del consumo di cannabis è minore di quello dell’alcol, nonostante la condizione di illegalità. Come per l’alcol, occorre distinguere la distanza, dagli abusi e dalla dipendenza, senza fare confusione. Occorre capire come la legalizzazione non aumenta il consumo, ma ne permette l’emersione e, conseguentemente, una maggiore capacità di prevenzione, sebbene il luogo comune della disinformazione tende a dire il contrario. Chi, come me, si batte per la legalizzazione, non la liberalizzazione, ma per una regolamentazione come per l’alcol, pensa prima di tutto alla società. Non è tanto un favore ai consumatori, quanto alla società tutta.

Mi preoccupano queste parole dell’Arcivescovo, che stridono con quelle di quando parla delle carceri, con un 30% di detenuti per droga e la giustizia intasata anche per questo, o con quelle di quando parla della povertà. Sbaglia a evocare l’orchestra del Titanic per il Consiglio Comunale, come fosse l’ultimo arruffapopoli dei forconi. Torino non è il Titanic e, se lo fosse, temo che la Curia ne sarebbe al comando. Disponibile a confrontarmi, comunque e ovunque.

Torino, 15 gennaio 2014.