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Telekom Serbia, per non dimenticare

di Giulio Manfredi (Giunta Associazione radicale Adelaide Aglietta)

23 luglio 2021

(aggiornamento di un testo pubblicato sul numero n. 106 di “Quaderni Radicali”, speciale marzo 2011)

Cosa si intende per “affaire Telekom Serbia”? Si intende l’acquisto del 29% dell’azienda di stato serba “Telekom Serbia” (d’ora in avanti TS) da parte dell’azienda di stato italiana “Telecom Italia” in cambio di 456 milioni di euro. La firma del contratto avvenne il 10 giugno 1997 a Belgrado; da una parte del tavolo Slobodan Milosevic, dall’altra Tomaso Tommasi di Vignano, amministratore delegato di STET, che poi si chiamerà Telecom Italia. Il corrispondente greco di Telecom Italia, la OTE, acquistò nell’occasione un restante 20% di Telekom Serbia (quindi, la maggioranza delle azioni e il controllo della società rimase ai serbi). Telekom Serbia era stata scorporata un mese prima dalle Poste e Telecomunicazioni serbe; i tecnici di Telecom Italia che si recarono a Belgrado durante le trattative d’acquisto per verificare la consistenza dell’azienda dovettero fidarsi delle carte fornite loro dai serbi, senza possibilità di verificare concretamente lo stato della rete e delle infrastrutture (vedi loro audizioni in sede di “Commissione parlamentare di inchiesta su TS”). Sul versante italiano, il capitale di Telecom Italia era posseduto per il 61% dal Ministero del Tesoro; all’epoca il ministro era Carlo Azeglio Ciampi (primo ministro: Romano Prodi; ministro degli Esteri: Lamberto Dini; sottosegretario agli Esteri con delega ai Balcani: Piero Fassino).

Nel giugno 1997, Slobodan Milosevic era al potere da otto anni durante i quali era stato protagonista dei seguenti eventi: fine dell’autonomia del Kosovo (1989) e dura repressione della maggioranza albanese; guerra d’aggressione alla Slovenia e alla Croazia (1991); appoggio determinante ai serbo-bosniaci guidati da Radovan Karadzic e Ratko Mladic, che permetterà ai due criminali di guerra di compiere crimini in Bosnia dal 1992 al 1995. Anche in Serbia Milosevic dà il meglio di sé: nell’autunno 1996 annulla le elezioni amministrative, vinte dall’opposizione democratica; nell’inverno vi sono a Belgrado numerose manifestazioni di piazza, con morti e feriti. Fassino e Dini vanno a Belgrado per cercare di evitare che la situazione degeneri …. sei mesi dopo, i cittadini italiani, tramite Telecom Italia, finanziano Milosevic, tramite Telekom Serbia. Lo scrive nero su bianco la Procura di Torino nell’Ordinanza di archiviazione dell’inchiesta su TS (9 maggio 2005): “… Si è così accertato in primo luogo che l’intero prezzo pagato per Telekom Serbia giunse nella disponibilità del Governo Serbo. La provvista venne temporaneamente impiegata in depositi a termine ovvero accreditata a società cipriote riconducibili al Governo Serbo (il sistema di “fondi neri” creato da Milosevic a Cipro è dettagliatamente descritto nel “Rapporto Torkildsen”, dal nome dell’analista finanziario norvegese che lo scrisse per conto del Tribunale Penale Internazionale dell’Aja (d’ora in avanti TPI). L’eminenza grigia di tale sistema fu Mihalj Kertes: nei primi anni ’90 Kertes era in Croazia e Bosnia a tenere i collegamenti fra Belgrado e i serbi locali; poi divenne capo delle Dogane e creò otto società di comodo a Cipro per aggirare le sanzioni alla Serbia. I radicali prima segnalarono al TPI l’azione svolta da Kertes in Croazia e in Bosnia; poi inviarono il “Rapporto Torkildsen” sia alla Procura di Torino che alla Commissione parlamentare d’inchiesta su TS) … Dopo un periodo di tempo variabile da pochi giorni a due mesi, il danaro confluì nella disponibilità del Fondo per lo Sviluppo della Serbia… E’ stato poi accertato che il Fondo per lo Sviluppo della Serbia ha utilizzato questa provvista per pagamenti in favore di imprese estere eseguiti per conto di imprese serbe delle prime debitrici (in una nota dell’ordinanza di archiviazione è riportato un prospetto da cui risulta il pagamento di 4 milioni di marchi tedeschi a “GESIM Srl – Bassano del Grappa” e altre 35 operazioni con “altre società italiane” per un totale di circa 3,5 milioni di marchi) e per pagare pensioni e stipendi da tempo in arretrato… Il risultato di questa parte dell’indagine spiega anche il motivo per il quale l’opposizione interna a Milosevic era contraria alla vendita di Telekom Serbia; e conferma, altresì, le dichiarazioni dell’Ambasciatore Bascone (che aveva portato a conoscenza del Ministro degli esteri Dini e del sottosegretario Fassino l’esistenza dell’affare e la contrarietà ad esso di ambienti politici serbi avversi a Milosevic). E’ infatti evidente che la disponibilità di cospicue risorse economiche da parte di quest’ultimo e l’utilizzazione di esse per scopi sociali e di sostegno all’economia si risolveva in un rafforzamento della sua posizione e in una probabile vittoria nelle elezioni che si sarebbero tenute di lì a poco, cosa che infatti poi avvenne …” (pag. 24<25 dell’ordinanza di archiviazione).

Quello che era “evidente” ai PM torinesi nel maggio 2005 non fu affatto evidente alla stragrande maggioranza dei cittadini italiani nel giugno 1997, anche perchè pochissimi di loro poterono essere informati del contratto stipulato a Belgrado. Ci fu Guido Rampoldi che scrisse un pezzo su “La Repubblica”: “I telefoni salvano Milosevic”.Ci fu Bruno Crimi che su “Panorama” scrisse di “un’insperata boccata di ossigeno alle casse di Belgrado”. Chi scrive lesse l’articolo di Crimi e seduta stante buttò giù il testo di un’interrogazione che fece presentare dall’unico parlamentare radicale dell’epoca, il compianto senatore Pietro Milio. L’interrogazione a risposta scritta, rivolta al Presidente del Consiglio (Romano Prodi) e al Ministro delle Poste e Telecomunicazioni (Antonio Maccanico), era stringata: “Premesso che da notizie di stampa – e specificamente “Panorama” del 26 giugno 1997 – si è appreso che la società italiana STET ha partecipato al processo di privatizzazione della società per le telecomunicazione serba, acquistandone il 29% del pacchetto azionario; … Per sapere: quale rilevante strategia di mercato è sottesa all’operazione finanziaria condotta dalla STET in Serbia; se la rilevanza di tale strategia giustifichi la conseguenza evidente che tale operazione ha provocato: il rafforzamento del regime di Slobodan Milosevic, regime che, tra l’altro, continua a non fornire alcuna collaborazione alle attività del Tribunale Penale Internazionale dell’Aja”. Il governo Prodi non rispose all’interrogazione. Solo nel 2001 un portavoce di Prodi renderà noto che “esaminata l’interrogazione, il ministro dei Rapporti con il Parlamento dell’epoca la mandò ai ministeri competenti affinchè si desse risposta appropriata”. Il ministro in questione era Giorgio Bogi, che, l’8 luglio 1997, inviò un telex “all’on. Ministro Tesoro et conoscenza on. Ministro Affari Regionali e Ministero Trasporti et Navigazione-gabinetto” (la competenza di questi due ultimi dicasteri sfugge alla mia comprensione) sul quale si leggeva: “Pregasi voler rispondere at atto di sindacato ispettivo n. 4-06641 Sen. Milio concernente privatizzazione Stet”. Dal telex era stato escluso il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, che aveva già ricevuto direttamente l’interrogazione. In definitiva, Prodi fa sapere che ciò che doveva fare all’epoca l’aveva fatto, passando il cerino acceso a due suoi ex ministri (Maccanico e Ciampi), uno dei quali era diventato nel frattempo presidente della Repubblica.

Ma torniamo a quei giorni cruciali del giugno 1997: alla scarsissima informazione sui media corrispose la totale indifferenza della politica italiana, radicali esclusi. Certo, il governo Prodi non aveva interesse a pubblicizzare un’operazione che rappresentava per il regime di Milosevic un affare di portata colossale, che gli garantì un aumento delle risorse finanziarie disponibili di circa il 60-70%. Ma anche l’opposizione di centro-destra, i vari Berlusconi, Fini, Casini, rimasero zitti e coperti. All’Italia del 1997, all’Europa del 1997, Milosevic andava bene così; era, come si dice fra gente colta e capace (di tutto), un “fattore di stabilità”.

Anche su questa questione i radicali si assunsero l’ingrato compito di “grilli parlanti”: il 16 giugno 1998 Gianfranco Dell’Alba (all’epoca deputato europeo della Lista Pannella) partecipò, in qualità di piccolo azionista, all’Assemblea annuale degli azionisti Telecom, a Torino, dove intervenne in questo modo: “… è ora di rivedere anche la strategia internazionale del gruppo perché è impensabile accettare che mentre Milosevic si appresta a massacrare il popolo del Kosovo, gli ordini siano impartiti attraverso quella Telekom Serbia che costituisce uno dei più grandi investimenti che la Telecom Italia ha fatto, secondo una pessima logica economica ed una intollerabile logica politica …”. Altrettanto farà Benedetto Della Vedova (allora dirigente nazionale della Lista Pannella) all’Assemblea Telecom del 15 dicembre 1998 al Lingotto di Torino, mentre i radicali torinesi manifestano all’ingresso contro l’affaire scellerato. Il Partito Radicale, intanto, dal ferragosto 1998, nella più assoluta solitudine, raccoglie le firme dei cittadini per l’incriminazione di Milosevic da parte del Tribunale Penale Internazionale dell’Aja, istituito nel 1993 grazie alla testardaggine di Marco Pannella.

Di Telekom Serbia non si parlerà neppure quando, il 23 marzo 1999, le forze militari della Nato, partendo dalle basi italiane, iniziano a bombardare fabbriche, installazioni militari, reti telefoniche serbe, dopo che tutti i tentativi per arrivare a un accordo sul Kosovo con Milosevic sono falliti; sono passati appena 21 mesi dalla stretta di mano a Belgrado fra Tomasi di Vignano e Milosevic.

Di Telekom Serbia non si parlerà neppure nel giugno 1999, quando l’intervento Nato termina con il ritiro dei serbi dal Kosovo, e nell’ottobre 2000, quando il popolo serbo dà l’assalto al Parlamento e detronizza Milosevic. Giova ricordare, a testimonianza della connivenza del 98% della politica italiana con il dittatore serbo, che ancora nel febbraio 2000 rappresentanti della Lega Nord, di Rifondazione Comunista e dei Comunisti Italiani partecipano al Congresso del Partito socialista serbo (Sps) di Milosevic a Belgrado. E nel marzo 2000 Umberto Bossi si rivolge così a Marco Pannella e ai radicali: “Loro gridano continuamente “Milosevic, Milosevic”. Per me è meglio Milosevic che Culosevic; è una cosa che ho detto a Pannella …”.

I cittadini italiani scopriranno di aver finanziato Milosevic solamente il 16 febbraio 2001, quando “La Repubblica” titola in prima pagina a caratteri cubitali: “Le tangenti di Milosevic – Telecom in Serbia: il protocollo segreto fra Roma e Belgrado”. Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo hanno sentito varie “gole profonde” serbe, da cui emerge che i serbi hanno pagato una tangente del 3% a qualche “mediatore” italiano. La Procura di Torino (all’epoca dei fatti la sede legale di Telecom Italia era sotto la Mole) apre un’inchiesta, ipotizzando la violazione dell’art. 2621 del Codice Civile: “False comunicazioni ed illegale ripartizione di utili o di acconti sui dividendi”. Più semplicemente: falso in bilancio. Abbiamo già scritto che l’inchiesta sarà archiviata quattro anni dopo: non è emerso il pagamento di nessuna tangente (ma è normale che Telecom Italia abbia pagato 30 miliardi di lire per “intermediazione” a una società macedone, la Mak Environment, che aveva per ragione sociale principale la “produzione di mangimi per animali”?).

Il 7 marzo 2001, i radicali chiederanno di essere auditi dai PM torinesi come “persone informate sui fatti”; solamente il 27 novembre 2002 chi scrive sarà audito dal PM Bruno Tinti, a cui chiede di assumere “sommarie informazioni testimoniali” dai seguenti signori: Carlo Azeglio Ciampi, Romano Prodi, Mario Draghi (all’epoca dei fatti direttore generale del ministero del Tesoro); Enrico Micheli (nel ’97 sottosegretario alla Presidenza del Consiglio); Lamberto Dini; Piero Fassino.

Dall’ordinanza di archiviazione risulta che la Procura sentì tutti i politici citati, tranne Micheli. Il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, fu audito dai PM torinesi nella tenuta di Castel Porziano, nel luglio 2004. A futura memoria, è utile riportare il riassunto di tali audizioni: “Secondo le deposizioni di cui sopra …l’allacciare rapporti di affari con la Yugoslavia nel contesto politico ed economico di allora era considerato cosa auspicabile e profittevole: vi erano stati gli accordi di Dayton che avevano ricondotto tale nazione nell’area delle potenze occidentali (sic); vi era stata la revoca delle sanzioni economiche a suo tempo deliberate nei confronti della Yugoslavia; vi erano stati rilevanti segnali di democratizzazione del regime di Milosevic, anche a seguito di iniziative in tal senso adottate dal Governo italiano. E dunque, quando il Ministero degli Esteri e successivamente la Presidenza del Consiglio e il Ministero del Tesoro, erano venuti a conoscenza dell’affare, la reazione era stata favorevole, sia per le conseguenze politiche che da ciò avrebbero potuto derivare, sia per la vitalità imprenditoriale dimostrata da Telecom Italia, recentemente privatizzata; status giuridico questo che comunque avrebbe impedito ogni intervento da parte del Governo. L’insieme di queste emergenze, acquisite nel corso dell’indagine, consente pertanto di ritenere comunque sfornita di ogni prova la tesi che ipotizza una volontà del Governo italiano di allora di nascondere la sua consapevolezza circa l’affare che si stava concludendo, allo scopo di non avere compartecipazioni e responsabilità in un’attività funzionale al sostegno di un regime tirannico e sanguinario e anche produttiva di utili illeciti … (pag. 21 dell’ordinanza di archiviazione)”.

I PM torinesi sposano in pieno le giustificazioni degli esponenti politici sentiti; su questo rimando a quanto già detto sulla natura del regime di Milosevic. Qui ricordo solamente che nel giugno 1997 Telecom Italia non era stata ancora privatizzata (lo sarà solo nell’ottobre ’97) e che l’affaire fu non solo sciagurato politicamente ma anche economicamente: nel dicembre 2002, Marco Tronchetti Provera, allora proprietario di Telecom Italia, rivendette la quota del 29% di Telekom Serbia al governo democratico di Belgrado per soli 195 milioni di euro. Per ogni 100 euro investiti nell’avventura serba ne ritorneranno 43 in Italia: non c’è che dire, un gran bell’affare!

Torniamo a quei giorni della primavera 2001 in cui tutti, in Italia, scoprono l’affaire Telekom Serbia; lo scoprono anche gli uomini del centro-destra e ci si buttano a pesce, visto che a maggio ci sono le elezioni politiche (le vincerà Berlusconi). “Il Giornale” inizia a picchiare duro su Prodi e compagni e lo farà fino al 2003, quando il comparire sulla scena di Igor Marini farà perdere la testa a molti. Ma andiamo per ordine: il 12 giugno 2001 si svolge a Torino l’Assemblea Ordinaria e Straordinaria degli azionisti Telecom. Vi partecipano anche i parlamentari europei radicali Della Vedova e Dell’Alba. A quattro anni di distanza dai fatti, il vertice Telecom fornisce finalmente agli azionisti un lungo “Memorandum” sull’operazione in Serbia (riportato quasi integralmente in “Telekom Serbia – Presidente Ciampi, nulla da dichiarare?” di Giulio Manfredi – Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, 2003). Il 29 giugno 2001 il governo serbo consegna Slobodan Milosevic al Tribunale Penale Internazionale dell’Aja. Il 9 aprile 2002, i PM torinesi si presenteranno alla porta della sua cella ma Milosevic rifiuterà di incontrarli. Il Parlamento vara una Commissione parlamentare d’inchiesta sull’affare Telekom Serbia. Il primo a proporla, oltre ai radicali, era stato Francesco Cossiga. La Commissione è composta da venti deputati e da venti senatori. Il suo presidente è il deputato di Alleanza Nazionale Enzo Trantino.

La commissione parte bene, sentendo i funzionari e i tecnici di Telecom Italia che seguirono la trattativa con i serbi (iniziata sul finire del 1994, quando erano ancora in vigore le sanzioni economiche contro Milosevic!); forse l’audizione più significativa è quella di Giovanni Garau, conosciuto in Telecom come “il bandito”, l’uomo duro, coraggioso, da impiegare nelle situazioni più difficili. Garau, prima dell’avventura serba, era direttore regionale Telecom in Campania e Basilicata; gestiva due milioni di abbonati con 5.000 dipendenti; in veste di vicedirettore generale di Telekom Serbia, si trovò a gestire lo stesso bacino d’utenza … ma avvalendosi di ben 13.500 dipendenti, non licenziabili per almeno cinque anni! Evidente dimostrazione della patacca di azienda che Milosevic ha rifilato per metà a italiani e greci. La commissione inciamperà e cadrà rovinosamente su Igor Marini, lo sconosciuto cittadino che il 7 maggio 2003 compare in commissione e accusa “Mortadella” (Prodi), “Ranocchio” (Dini) e “Cicogna” (Fassino) di avere intascato tangenti dall’affaire Telekom Serbia. Scoppia il solito cancan mediatico che servirà per qualche mese a riportare sulle prime pagine dei giornali la vicenda ma che svierà completamente la commissione dall’accertamento delle responsabilità politiche (e non penali) dei suddetti. L’ultimo atto dell’organismo parlamentare grida vendetta: il 25 maggio 2005, nella seduta congiunta delle commissioni Esteri e Trasporti della Camera, passa un emendamento dell’opposizione con cui viene bocciata la ricostituzione della commissione Telekom Serbia … mentre molti parlamentari del centro-destra sono in volo per Istanbul per assistere alla finale di Coppa dei Campioni, Milan-Liverpool!

Il 23 maggio 2007, nel decennale dell’affaire Telekom Serbia, si tiene nella sede del Partito Radicale una conferenza stampa a cui partecipano: la segretaria di Radicali Italiani, Rita Bernardini; Daniele Capezzone, allora deputato della Rosa nel Pugno e presidente della Commissione Attività Produttive della Camera; il deputato radicale Bruno Mellano, che invierà a tutti i senatori il libro di Giulio Manfredi. Conclude la conferenza stampa lo stesso Manfredi: “Sfatiamo il luogo comune secondo cui il potente non chiede mai scusa dei propri errori: nell’aprile 2002 il governo olandese si dimise in blocco perché una commissione militare aveva appurato la sua responsabilità oggettiva per la strage di Srebrenica. Noi, a Prodi e compagni, chiediamo molto meno delle dimissioni”. In una successiva conferenza stampa tenutasi a Torino, Manfredi rende note le “Quindici domande sull’affaire Telekom Serbia rimaste senza risposta” (vedi: http://passaggioasudest.ilcannocchiale.it/2007/06/14/telekom_serbia_quindici_domand.html). L’ultima domanda è rivolta all’on. Italo Bocchino, allora braccio destro di Gianfranco Fini e all’epoca di TS deputato di Alleanza Nazionale e membro della commissione parlamentare d’inchiesta su Telekom Serbia: “Per quale destino cinico e baro una parte dei proventi dell’intermediazione riguardante l’affaire Telekom Serbia finirono nella disponibilità dell’on. Italo Bocchino di Alleanza Nazionale, membro della commissione parlamentare d’inchiesta sull’affaire e accusatore implacabile di Prodi e compagni (tranne Ciampi)?
Dall’ordinanza di archiviazione del Tribunale di Torino (9 maggio 2005, pag. 30):
“…Ciò che costituisce una singolare emergenza messa in luce dalle indagini riguarda la destinazione di una parte delle risorse di Vitali (uno dei due “facilitatori” dell’affaire, ndr), a loro volta, come è stato reiteratamente chiarito, provenienti dall’affare Telekom Serbia. In effetti, Bassini (Loris, titolare di una società finanziaria di San Marino, la Fin Broker S.A., a cui il Vitali aveva affidato la gestione di 22 miliardi di lire, fra cui i compensi percepiti per l’affaire Telekom Serbia, ndr) erogò, nel corso del 2001, 1,8 miliardi di lire ad una società, Goodtime Sas, di cui socia accomandataria era Gabriella Buontempo, moglie dell’on. Italo Bocchino, successivamente componente della commissione d’inchiesta Telekom Serbia; e 2,4 miliardi di lire alla società Edizioni di Roma, di cui socio e Presidente del Consiglio di Amministrazione era lo stesso on. Bocchino…”.

La storia di Telekom Serbia riserva una beffa finale: chi scrive fu querelato da Giovanni Di Stefano (amico e socio d’affari del tristemente noto criminale di guerra serbo sedicente “Comandante Arkan”, ucciso a Belgrado nel gennaio 2000) per aver riportato nel mio libro il seguente stralcio di “Falcone Borsellino Mistero di Stato” (Edizioni della Battaglia, Palermo, 2002, di Enrico Bellavia e Salvo Palazzolo), che faceva a sua volta riferimento al provvedimento dei magistrati di Palermo cosiddetto “Sistemi criminali” (proc. Pen. N. 2566/98 R. G. N. R.). Tale provvedimento contiene il riassunto delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pasquale Nucera (uno dei pochissimi “collaboratori” della ‘ndrangheta): “… Anche il collaboratore Pasquale Nucera ha riferito di un “piano politico-criminale” elaborato dalla criminalità organizzata nel 1991. In particolare, ha dichiarato che il 28 settembre 1991, in occasione della riunione annuale della ‘ndrangheta che si tiene presso il santuario di Polsi, cui egli partecipò quale rappresentante della famiglia Iamonte, avevano partecipato, oltre ai vari capi della ‘ndrangheta, anche alcuni rappresentanti di famiglie napoletane, esponenti mafiosi calabresi provenienti da varie parti del mondo (Canada, Australia, Francia), tale Rocco Zito, in rappresentanza di “cosa nostra” americana e un personaggio di Milano, definito come “un colletto bianco” legato alla mafia siciliana e calabrese. Quest’ultimo, in particolare, dopo aver affermato che in Italia ci sarebbero stati degli “sconvolgimenti” (non meglio specificati) , aveva rappresentato la necessità di una “pacificazione” fra le cosche calabresi, perché i siciliani delle famiglie americane ci tenevano molto per poter meglio realizzare un progetto politico, consistente nella costituzione di un movimento politico di “cosa nostra” definito “partito degli amici” …” (pag. 63 e 64 “Sistemi criminali”). In un interrogatorio del 23 agosto 1996 al P. M. di Palermo il Nucera individuava il “colletto bianco” nella persona di Giovanni Di Stefano (pag. 65, 69, 70 e 71 “Sistemi criminali”).

Il processo, iniziato nel luglio 2005, si concluse ben cinque anni e mezzo dopo, il 20 gennaio 2011: fui assolto con formula piena perchè “il fatto non sussiste” ma non posso non rilevare il paradosso di una storia che non poteva che svolgersi in Italia: il cittadino radicale senza potere Giulio Manfredi, che è stato uno dei pochi a denunciare l’affaire Telekom Serbia non a babbo morto, è stato anche l’unico cittadino italiano ad essere processato (oltre a Igor Marini).

Ancora una volta dobbiamo dare ragione a Ennio Flaiano: “La situazione è drammatica ma non è seria”.

N. B. Per approfondimenti:

Telekom Serbia: Presidente Ciampi, nulla da dichiarare? – Diario ragionato del caso dal 1994 al 2003” di Giulio Manfredi (Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, 2003, postfazione di Marco Pannella)

Telekom Serbia: l’affare di cui nessuno sapeva” di Francesco Bonazzi (Sperling & Kupfer, 2004)

https://www.associazioneaglietta.it/tag/telekom-serbia/

http://forum.radicali.it/content/e-uscito-il-libro-telekom-serbia-presidente-ciampi-nulla-da-dichiarare